Le leggi dell’etica

Le leggi dell’etica

DICEMBRE 2018
Qualche anno fa lessi un libro. Un bellissimo libro. Scritto da Don Miguel Ruiz. Il titolo è: “I quatto accordi”. Ci sono scritte quattro regole. Per vivere meglio. Per decifrare la vita con l’unico strumento che davvero ci può aiutare nel cammino dell’esistenza: il cuore. Poi, Ruiz, aggiunse un altro libro: “Il quinto accordo”. Le regole, o leggi, sono divenute cinque e il mio affetto, la mia simpatia e il mio amore per lui sono cresciuti a dismisura. Perché quattro accordi sono fantastici, ma cinque sono miracolosi…mi ricordavano qualcosa. Qualcosa che può arrivare a salvarti la Vita. Oggi a distanza di anni ho il piacere e la fortuna di scambiare opinioni con molta gente, ogni giorno…un fine settimana al mese. Ho l’onore di crescere assieme a ciascuno di loro quando, chi più chi meno, mi racconta i propri problemi come fossero i miei.
A lungo ho pensato a cosa potevo fare a ciascuno, per ciascuno, in occasione di queste festività. Per regalare e regalarci un momento di Vita. E mi sono venute in mente sei regole…non più cinque, perché cinque sono di Ruiz (e non solo). Se si vuole essere originali qualcosa si deve pur cambiare o aggiungere. Sei regole per affrontare la Bio-Logia, la logica della Vita, con amore e rispetto. Sei sono le regole che ho messo assieme…sei perché sei è il numero della matrice di chi non ha ancora scelto cosa essere, sei è la matrice di chi, per ascoltare gli altri, fatica ad ascoltare il suo profondo, il suo angelo interiore. Sei…
La prima. Nessuno di noi è Dio: io non sono Dio. Nessuno di noi può guarire qualcun altro: io non posso guarire nessuno…se non me stesso. Inizialmente mi era parsa una sciocchezza, una banalità. Invece è il primo slancio, umano e irrazionale che ho avuto scoprendo cosa poteva “far bene”, “far guarire”. Da medico e uomo. Una volta avevo la sensazione di “guarire”: ora mi guardo indietro e sorrido. Sorrido alla mia arroganza di allora, alla tenera ambizione, all’ego di quando, stupidamente, pensavo di poter “guarire”. Ancora mi guardo attorno e vedo accadere questa cosa. Qualcuno ancora pensa di poter “guarire”. Poi alla domanda o richiesta: “allora puoi guarire tutti ?”…la risposta non può essere che: “no, dipende anche da loro”…sorrido: “ma se dipende da loro, dipende anche da quello che è guarito, e tu, non c’entri nulla…nulla”. Il vero terapeuta, invero, quando la persona guarisce non è presente…sparisce. Perché la guarigione, quella vera e profonda è del paziente, della persona. La guarigione usa altre persone come strumenti, ma nessuno può e potrà mai gestirla. Se così fosse dovrebbe poterla usare quando e come vuole; e questo non esiste, nè mai esisterà…
La seconda. Meglio non dire niente a qualcuno piuttosto che dargli una soluzione sbagliata. Scoperta la prima regola ho ferito a morte il mio ego…ma con la seconda gli ho inferto il colpo di grazia. Felice ogni giorno di apprendere cose nuove rimane facile condividerle. Ancor più facile “sparare sentenze”…dare soluzioni…motivi…colpe…poi nel tempo tutto è più chiaro. Tutto è più “vero”. Soprattutto con coloro che certe frasi non me le avevano chieste. Soprattutto con coloro che volevo “con-vincere” che io avevo ragione, che ero nella strada giusta. Ma come dice un amico “non è per tutti”. Non tutti sono pronti per vedere con gli stessi occhi con cui vedo io la realtà. E la mia realtà è solo mia. Non è possibile convincere altri che la mia sia quella giusta, quella vera. Ancor più se non viene da loro, dal loro profondo la richiesta di una spiegazione. Perché l’attimo successivo alla notifica della causa scatta il meccanismo della “ricerca del colpevole”. Pochi, quasi nessuno, sono in grado di intendere la Vita come una serie di esperienze. La maggior parte vive gli eventi come una serie di causa-effetto: e se c’è qualcosa che apparentemente “non va” deve esserci un colpevole…e questo non sono io…non posso essere io…dev’essere per forza fuori da me.
La terza. Non dare mai una risposta, se prima non viene fatta una domanda. Ancora adesso fatico a digerire la terza regola appresa nel tempo. Nel conoscere, totalmente o in parte, una materia come la decodifica biologica, arriva il desiderio, la voglia, quasi il bisogno di comunicare ad altri ciò che so, ciò che ho appreso. Per loro…eppure…intromettersi nella vita di un’altra persona senza che ti venga chiesto è un crimine emozionale. Ho imparato nel corso del tempo a “stare zitto”. Mi pesa…da morire. Eppure non tutti vogliono sapere…e chi vuole sapere…spesso non vuole sapere tutto e non ha gli strumenti per digerire ciò che gli potrei dire. Ciò che vogliono sapere è esattamente ciò che chiedono: la “risposta è all’interno della domanda…e la malattia è esattamente la risposta alla domanda che non ho avuto il cor-aggio di farmi o a cui non ho avuto il cor-aggio di dare una risposta”…
La quarta. Durante il passaggio al cambiamento, alla guarigione la persona non va confortata ma “destabilizzata”…per evitare che torni da dove era partito. Un atteggiamento tipico di un terapeuta, ma prima di un amico, di un genitore, di una persona che ti vuole bene è la “com-passione”, il “con-forto”. E’ l’umano tentativo di alleviare il dolore e la sofferenza altrui aiutandolo a trovare una soluzione, a sopportare il dolore…eppure la situazione, quella situazione che l’ha portato a stare male è esattamente ciò che va cambiato, ciò da cui ci si deve muovere. Ma come si sa, il cambiamento crea disagio, crea malessere, crea paure. Ogni volta che abbiamo paura di fare qualcosa, che temiamo qualcosa di ignoto…in quella paura e in quell’ignoto c’è una parte di noi che vuole emergere e tornare in luce. Aiutando la persona a tornare da dove è venuta, non facciamo altro che riportare quella sofferenza e quel dolore alle sue radici rischiando che a distanza di tempo riemerga…scuotendolo ulteriormente invece, aiutandolo a fare altri passi per allontanarsi da quegli ancoraggi che lo tengono prigioniero, forse la sofferenza può aumentare, ma è facile trovi in cor-aggio di appoggiare il piede su un nuovo isolotto di consapevolezza per diventare ed essere una persona nuova.
La quinta. Smetterla di dire “devo fare…” o “voglio fare…” per iniziare a dire “provo a fare…”. L’intenzione: va cambiata l’intenzione o ideazione. Nel “devo” è insito un obbligo. Interno o esterno, ma un obbligo. Un legame che viene dall’esterno: ob-ligo…lego da fuori. Nel voglio una volontà: è molto più finalizzata e pregevole dell’obbligo ma rimane un atto in potenza…rimane un desiderio. Non c’è ancora nulla di reale nella parola “voglio”. Non si guarisce cantando, pensando, credendo, desiderando o volendo…si guarisce “agendo”. Il cuore è la coscienza e dirige l’uomo, mentre il mentale lo censura. L’essere è indipendente e ha un’essenza superiore che risiede nel suo corpo e che non può invecchiare. L’essere dell’uomo è il suo Dio. La Vita non offre scelte; l’unico libero arbitrio è quello della coscienza. E’ il senso della cosa che crea la cosa. La funzione crea l’organo. La malattia è dunque una cosa; è un corpo creato, carico di senso. La malattia risponde a un progetto. Ha perciò una funzione, una necessità vitale. Ma anche la guarigione è una cosa: affinchè avvenga, la persona deve crearsi il progetto di guarire…molte persone utilizzano con fierezza la loro patologia per farsi amare. Sentendosi finalmente amate, arrivano a lasciarsi morire per paura di essere nuovamente respinte. E’ indispensabile abbandonare il piacere della propria sofferenza per fare posto alla guarigione.
La sesta. Impegnati a non ferire mai il cuore di nessuno…soprattutto il Tuo. Desiderosi sin da piccoli di esistere, di essere certi di poter soddisfare i propri bisogni, di poter avere un contatto vitale, del tempo per sé, di poter vivere la propria sessualità…cresciamo con l’idea che se non rispondiamo a canoni esterni da noi non veniamo amati, non nutriti. Crediamo, con le nostre sinapsi, che un bisogno disatteso, se soddisfatto possa portare a morte. Camminiamo ora esattamente come abbiamo imparato da piccoli, mastichiamo e parliamo come allora…eppure nessuno di noi ricorda quel giorno e come ha imparato. E così vale per tutto. Ma quel giorno potrebbe essere stato condizionato da mille accadimenti che ora non ci sono più…eppure per non ferire gli altri continuiamo a comportarci così, a camminare così, a parlare così…ferendo ogni ora, in ogni istante, noi stessi.
Buone Feste dunque…con l’augurio di perdere ogni forma di controllo, di destabilizzarvi sino all’esasperazione per poi ritrovare una centratura, di imparare a “salvare se stessi” e di ascoltare “bio-logicamente” ogni domanda vi venga posta pesando ogni risposta. Di non ferire mai se stessi prima degli altri…così Babbo Natale, arrivando innanzi alla vostra casa potrà, dopo un attimo di riflessione, passare a quella dopo, certo che il quel posto non manca davvero nulla.
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